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L’ora di greco

    L’ora di greco

      

    Kang Han

      

    In una Seoul rovente e febbrile, una don­na vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’in­solito suono di una parola francese a scar­dinare il silenzio. Ora, di fronte al riaffio­rare di quel mutismo, si aggrappa alla ra­dicale estraneità del greco di Platone nel­la speranza di riappropriarsi della sua vo­ce. Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta per­dendo la vista e che, emigrato in Germa­nia da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio limina­le fra le due lingue. Tra di loro nasce un’in­timità intessuta di penombra e di perdi­ta, grazie alla quale la donna riuscirà for­se a ritornare in contatto con il mondo. Scritto dopo «La vegetariana» e definito dal­ la stessa autrice «quasi un suo lieto fine», «L’ora di greco» si insinua – avvolto in un bozzolo di apparente semplicità – nella mente del lettore, come un «assurdo indimostra­bile», una voce limpida e familiare che ar­riva da un altro pianeta.

        

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